DALLA RELAZIONE DI PROGETTO
« La passeggiata in riva al mare è inventiva. Ogni falcata apre prospettive inedite. Il paesaggio beccheggia. Che importa che tempo fa. La meteorologia si regola secondo i moti del cuore: umore errabondo, una brezza frizzante fa fremere le nostre narici. Camminare sui sassi, lasciarsi pervadere dal loro frastuono. [...]. Pigramente lo sguardo scorre in lontananza. [...] al largo, è permesso seminare qualche speranza. L'immaginazione è come una rete che fa una buona pesca». Cécile Guérard, Piccola filosofia del mare, Guanda, 2010.
Gli scenari suggestivi che ci presentano il futuro prossimo, ci prospettano un pianeta simile ad un network globale i cui nodi sono costituiti da città ormai trasformate, grazie allo sviluppo delle risorse, in vere e proprie entità dinamiche, in competizione tra loro, non più per le dimensioni demografiche o spaziali, ma - e questa è la novità - per ruolo, servizi ad alto valore aggiunto, capacità di commutazione e connettività. Micropoli o conurbazioni, che attraverso processi di trasformazione di flussi sono in grado di inventare e generare nuove forme urbane e nuovi paesaggi in cui le risorse messe in campo, unite ad aspirazioni e ambizioni delle popolazioni, si fanno visione e strategia, creando nuove opportunità di sviluppo. Gateway city, città porta, città ingresso, città passaggio di flussi e di energie (materiali ed immateriali), comunque creative e creatrici, città porto (1), luoghi densi ed ibridi costituiti da waterfront urbani. Alla luce di questi scenari appare evidente che gli strumenti di intervento sui waterfront urbani debbano essere in grado di intercettare, interpretare e trasformare l’intera città e non limitarsi al solo perimetro costiero. Affrontare il waterfront urbano come scintilla di rigenerazione della città richiede uno sforzo definitorio che ne perimetri il senso, che ne interpreti l’identità plurale.I waterfront ci appaiono multiformi, e come scrive Maurizio Carta nel saggio «I waterfront come generatori di qualità urbana» (2) caratterizzati da “sette tipi di ambiguità feconde”, che di seguito elenchiamo:
La prima ambiguità risiede nella consapevolezza che un waterfront non è una linea, ma è una rete di luoghi, di funzioni, di innesti e ricuciture tra la costa e la città, tra il porto e le attività urbane. Un waterfront non è solo un’area portuale, ma è un addensarsi di funzioni produttive, relazionali, culturali, ludiche, abitative. Non è un’area chiusa e protetta, ma è un’interfaccia osmotica, è un perimetro permeabile, talvolta rigido, ma altrettante volte spugnoso. Un waterfront non è un nodo locale, ma è l’incrocio di fasci infrastrutturali (marini e terrestri) che lo attraversano, che lo alimentano: nodo di una rete sempre più planetaria di energie relazionali. Ma non è solo un nodo, è soprattutto un luogo formato dall’intersezione di usi, di funzioni, di flussi: sintesi di spazio e di comunità. Un waterfront non è un “luogo” dello svago, non si limita ad essere una “macchina di intrattenimento”, ma è “luogo” di produzione, di commercio: macchina funzionale delicata. Infine, ultima ambiguità di senso, consiste nel fatto che un waterfront non è solo storia e non è solo futuro, ma è sintesi feconda di storia e prospettive: è un “luogo” in cui la sapiente conoscenza storica alimenta le visioni per il futuro, e in cui l’ambizione delle strategie produce un’efficace interpretazione del passato.
1_ Un waterfront non è una linea, ma è una rete di luoghi, di funzioni, di innesti e ricuciture tra la costa e la città, tra il porto e le attività urbane. Un waterfront è dunque una “città nella città, è una sorta di “quartiere”, inserito tra altre due porzioni di territorio molto più ampie: il mare e la città. Due elementi profondamente diversi fra loro ma che necessitano di un dialogo, di momenti d’incontro. Una linea non basta, non può essere un momento d’incontro. Serve filtrare le diversità fra i due tessuti, serve mediarli e serve che si “contaminino” l’uno con l’altro per potersi gradualmente conoscere ed accettare. Oggi il waterfront di Fano è un eterogeneo insieme di elementi, di linee, di punti e di superfici che, nonostante siano palesemente progettati, non seguono una logica comune, non fanno della loro eterogeneità la loro forza, ma anzi si chiudono su se stessi in maniera autoreferenziale. Il waterfront rispecchia, in tal senso, il tessuto urbano della città, nel quale si leggono chiaramente le fasi dell’evoluzione storica ma al medesimo tempo non si percepisce un disegno unitario, non si distinguono linee guida chiare e definite, ma si leggono delle “aggiunte”, più o meno importanti/imponenti, che sono andate con il tempo a sommarsi (ma non necessariamente ad integrarsi) con ciò che hanno contribuito ad ampliare. Un waterfront che parla le tante lingue di una sola città ma che, paradossalmente, non si confronta con il mare se non in sporadici episodi. Per aprire nuove prospettive di dialogo serve unificare il linguaggio, serve, come già detto, mediare. Una mediazione che necessita, per andare a buon fine, di scelte urbanistiche forti, che lascino il segno, non inteso come cicatrice, ma come filo conduttore che permetta al mare di essere più urbano e allo stesso tempo consenta alla città di aprirsi, di protendersi verso quel mare che oggi sembra infinitamente lontano a causa di barriere artificiali, che nulla hanno a che fare con il concetto contemporaneo di waterfront. Riportare il mare alla città e la città al mare. Un’operazione certamente complessa e delicata che può riuscire solo se si studia come le funzioni connesse al mare possano inserirsi nella città e viceversa. In questo modo si creano dei “link”, dei punti notevoli che per essere collegati a dovere hanno bisogno di un connettivo, un “luogo” decretato ad accogliere i flussi che dal mare arrivano e che verso il mare vanno. Un “luogo” che si renda protagonista di questo scambio, che sia funzionale ma che rimanga sempre a misura d’uomo perché la città, non dimentichiamolo, è fatta di persone, prima ancora che di edifici, che ne costituiscono la linfa vitale.
2_Un waterfront non è solo un’area portuale, ma è un addensarsi di funzioni produttive, relazionali, culturali, ludiche, abitative. Il waterfront non è dunque una linea, ma sarebbe altresì riduttivo considerarlo solo come un’area portuale. Ma ancora prima di tali affermazioni, bisogna chiedersi se il waterfront sia un “luogo” fisico o semplicemente un “concetto”. Basti pensare a quante funzioni vi sono inserite (da quelle commerciali a quelle turistiche, passando per attività culturali e ricreative) per capire che non si può confinare il waterfront all’interno di un recinto, seppur immaginario. Per questo motivo la parola “luogo”, riferita al waterfront si trova sempre fra virgolette, per indicare che quel “luogo” è nella mente della città, è nella sua natura e nella sua anima, ma che nella realtà è un concetto ben più esteso. Il porto, la passeggiata e le spiagge, sono tutte parti di città, alla stregua di piazze, strade e palazzi e vanno trattate, dunque, con la medesima dignità e la stessa grande attenzione. La strategia per creare un rapporto sinergico tra la città e il mare è quella di mescolare tutti i linguaggi dei due grandi “quartieri”, come li abbiamo definiti prima, per crearne uno nuovo che risulti, però, unitario e comprensibile ad entrambe le parti, senza fraintendimenti. Un connettivo che tenga insieme mare e città: una passeggiata che si “auto-genera” scaturendo dalla spiaggia Sassonia e addensando gradualmente il suo disegno prosegue fino a sfumare nei pressi del torrente Arzilla. Durante il suo percorso, che si snoda tangente alle spiagge, la passeggiata ridisegna i punti di incontro fra mare e città andando a creare dei momenti di contatto nei quali la percezione della città e allo stesso tempo quella della spiaggia sono aberrate da una compenetrazione di materiali, di disegno naturale e disegno urbano. Sono punti nei quali i sensi sono stimolati da ogni parte. L’odore della città si mischia con quello del mare, le ruvide superfici di cotto si confondono con la sabbia soffice, il bianco dei ciottoli lascia intravedere il colore tipico del mattone, il verde scherma i rumori della strada per lasciare spazio alla melodia delle onde che pervade l’orecchio mentre si assapora sulle labbra il gusto del salino. La passeggiata prosegue “invadendo”, in maniera più urbana, il porto, sia nella zona commerciale/produttiva con i nuovi edifici di progetto, sia, nella zona turistica della Marina dei Cesari. Nella sua “invasione pacifica”, la passeggiata si impossessa anche degli spazi prospicienti la Capitaneria di Porto fino a ridisegnare un nuovo ponte, ridonando in questo modo una continuità che fino ad oggi era solo fisica, ma non semantica, alle due parti di città “divise” dal Canale Albani. Ma come può un elemento così imponente non essere invasivo? Può un’entità così vasta tenere insieme città e mare senza creare dissonanze? È questione di linguaggio. Bisogna mescolare ciò di cui è fatto il mare con ciò di cui è fatta la città. La nuova texture urbana sarà dunque composta di zone d’acqua, di ciottoli e di sabbia; accanto a queste ci saranno zone in laterizio, materiale molto presene a Fano e in generale su tutta la Riviera Adriatica, il legno, zone di verde progettato e soprattutto, ci saranno le persone, la vera anima della città, la linfa che muovendosi porta nutrimento ai tessuti. Con la loro indispensabile presenza, le persone renderanno vivo il waterfront che è “luogo” di svago, di sosta, di relax ma contemporaneamente di lavoro, di produzione e di studio. Si intersecheranno i flussi, si incontreranno le persone, le loro storie e proprio questo brulicare di attività diverse sarà la connessione reale tanto auspicata tra il mare e la città.
3_Un waterfront Non è un’area chiusa e protetta, ma è un’interfaccia osmotica, è un perimetro permeabile, talvolta rigido, ma altrettante volte spugnoso. L’osmosi è un processo per cui un fluido poco concentrato passa attraverso una membrana semipermeabile e raggiunge un fluido più concentrato. Per applicare questa teoria alla città e al mare, assumendo che sia il waterfront la membrana semipermeabile, bisogna prima di tutto capire quale dei due “fluidi” sia più concentrato. La città è di certo più densa di funzioni e persone. Il waterfront, dunque, deve si portare la città verso il mare ma allo stesso tempo deve portare il mare dentro la città. A Fano è naturale questa osmosi con il canale Albani che ad oggi è una cesura, seppur non di grande entità. La trasformazione da cesura a “valore aggiunto” della città passa attraverso il connettivo che, nei pressi della capitaneria e sull’altra sponda del campo sportivo urbano, diventa totalmente permeabile, lasciando che l’acqua lo attraversi indisturbata. Il canale Albani si fa abbracciare dal nuovo disegno urbano che si inserisce pacato fino a raggiungere la darsena Borghese e, risalendo, fino a scavalcare la chiusa della centrale della Liscia per impossessarsi dell’argine della vasca di carico della stessa. Con questo “velo” di progetto si va a recuperare il contatto con l’acqua per tutto il percorso del canale; contatto unicamente visivo, come nel caso di Viale Kennedy, oppure un rapporto più stretto, come nel caso della passerella ciclopedonale che, fluttuando sulla superficie dell’acqua, passa sotto Via 11 Febbraio e sotto il ponte della ferrovia permettendo una continuità che fino ad oggi era negata. Un’ulteriore ricucitura del tessuto urbano, dunque, ma che ancora non rende del tutto funzionante quella parte di territorio. Per aumentare il livello di permeabilità, bisogna che all’interno di questa parte di città vengano inserite nuove funzioni, delle “motivazioni” per cui la gente dovrebbe recarsi in quel luogo. Sulle sponde del canale verranno inserite attrezzature e nuovi “inqulini” che riporteranno alla vita le due sponde, oggi sottovalutate ed utilizzate solo come ormeggio di piccole imbarcazioni per il diporto. Un brulicare di persone che potranno vivere la permeabilità di questo canale e che troveranno funzioni nuove, inaspettate. Funzioni per il relax, lo svago, la sosta, e il commercio, come i locali ricavati immediatamente in fondo alla scalinata che collega la sponda del canale Albani con la soprastante Via Puccini, ma anche il passeggio e la cultura, il nuovissimo “Museo della Marineria Fanese”, ad esempio, ricavato nei rinnovati locali dell’ex Capitaneria di Porto e dell’ex asilo Manfrini, ed anticipato sul percorso da esposizioni permanenti di strumenti di lavoro degli antichi cordai e barchetti storici. Risalendo verso la darsena Borghese, completamente restaurata, troviamo un nuovo cinema all’aperto che si ispira ai tipici bastioni delle mura, utilizzabile anche per manifestazioni e piccole assemblee/conferenze pubbliche. Il terreno che si modella e crea percorsi e aree verdi rimarca il concetto di luogo “intimo” della darsena. Nuove funzioni, insomma, che portano a “risalire la corrente” per scoprire cosa c’è oltre. Il canale Albani è luogo di curiosità, è un luogo che si lascia scoprire volentieri, ma poco alla volta, che con le sue facciate colorate di Via Nazario Sauro proietta nella mente dello spettatore la poetica immagine delle calli di Burano, che offre spazi pubblici con discrezione, senza inutili “protagonismi”. Il canale sarà certamente un volano per molte e nuove attività, vista anche la sua posizione “strategica”, la sua possibilità di essere una via privilegiata per collegare una delle vie principali del centro storico, l’attuale C.so Matteotti (il decumano maximo della antica Fanum Fortunae), al mare. Sarà proprio questa caratteristica a renderlo ancor più importante per realizzare quell’osmosi tanto auspicata, quello scambio di flussi, quella circolazione di persone che sono, ricordiamo, la linfa vitale della città.
4_Un waterfront non è un nodo locale, ma è l’incrocio di fasci infrastrutturali (marini e terrestri) che lo attraversano, che lo alimentano: nodo di una rete sempre più planetaria di energie relazionali. Il waterfront è il punto di contatto fra terra e mare, è il “luogo” attraverso il quale i flussi terrestri diventano flussi marini e viceversa. Proprio questo flusso di persone rappresenta la linfa vitale della fascia che lega la città e il mare. Un fascio potenzialmente infinito di linee che vanno e vengono, che attraversano, che si fermano e ripartono, un “luogo” di transito per chi passa e basta, ma altrettanto importante per chi “resta”.Una strada per alcuni, una lunga piazza per altri, una superficie versatile che diventa arredo e accoglie con la stessa dignità sia chi transita sia chi sosta. Un luogo di raccolta, di incontro, di aggregazione. Un “luogo” con una personalità forte e dichiaratamente artificiale che, dialogando con la costa, accoglie funzioni e flussi differenti in maniera estremamente versatile. Accoglie anche un nodo infrastrutturale forte, quale è il porto turistico. Un nodo che a sua volta raccoglie flussi e li “riversa” sulla passeggiata, diramandoli in un luogo accogliente, il nuovo spazio pubblico, indicando chiaramente le vie da seguire per raggiungere il tessuto storico consolidato, il centro nevralgico della vita cittadina.Queste vie sono rappresentate da assi verdi che si dipanano dalla nuova passeggiata e conducono al centro storico passando sopra e talvolta sotto la ferrovia, grande cesura irremovibile. Assi progettati e assi esistenti riprogettati che parlano la lingua della città ma profumano di mare, che portano nel centro storico il sapore del salino allo stesso modo del canale Albani, ma con caratteri differenti. Sono assi urbani che migliorano la percezione di quei tratti di città, rafforzano il contatto con il tessuto consolidato e ampliano il concetto di rapporto con il mare fino, in un caso, a protendersi verso l’orizzonte con un pontile attrezzato che prolunga la città e la proietta nella direzione dell’orizzonte. Un brano di città a strettissimo contatto con il mare, con destinazione prevalentemente turistica che va a fissare ancora meglio il concetto di waterfront. Come i punti di una cucitura, questi assi rimarcano ancora una volta il concetto fondamentale dell’importanza di tenere insieme mare e città, di avere flussi che si muovono nelle due direzioni e che trasmettano la loro vitalità a tutto il territorio.
5_Un waterfront non è solo un nodo, è soprattutto un luogo formato dall’intersezione di usi, di funzioni, di flussi: sintesi di spazio e di comunità. L’intersezione di usi, funzioni e flussi, che rende vitale tutto il waterfront, trova però la sua massima espressione nel nuovo edificio “stecca”. Questo è un organismo che scambia flussi di energia con la città sul fronte ad essa rivolto e allo stesso tempo vive del mare sull’altro fronte. Dialoga, dunque, da un lato con la città, con un fronte molto urbano e con funzioni altrettanto urbane (residenza, terziario, attività commerciali) e dall’altro, allo stesso modo, dialoga con il mare, accogliendo i cantieri navali esistenti semplicemente ricollocati in modo da non utilizzare spazio prezioso per la città.Un elemento forte, che diventa un landmark e che permette di recuperare una darsena e di riconsegnarla alla città come spazio totalmente pubblico, con nuove funzioni e nuove sensazioni. Uno specchio acqueo che rivive di pesca e artigianato con un background cittadino a poetizzare ancor più l’immagine che ne traspare. Altri due edifici pubblici, sollevati su pilotis, vanno a disegnare lo spazio prospiciente l’ex scalo di alaggio, creando coni ottici suggestivi, legati al mare, alle sue spiagge e alla città che le contempla. È questo il luogo che rispecchia la frase: “sintesi di spazio e comunità”: la piazza. La piazza è da sempre il luogo decretato per l’aggregazione e l’incontro; la piazza è il luogo pubblico per eccellenza, il vuoto urbano più importante ed arriva ad essere, talvolta, l’identità di un’intera comunità. Avere una piazza digradante verso il mare è certamente inconsueto, ma proprio per ciò è ancor più caratterizzante. La piazza è sempre facente parte del connettivo, che giungendo nei pressi del porto la genera, mantenendo il disegno eterogeneo che lo caratterizza in tutto il suo percorso. In questo tratto il connettivo si spinge anche a disegnare la copertura dei nuovi edifici. Portando con sé l’immagine poetica della lenta erosione che il mare mette inesorabilmente in atto ogni istante, si creano le bucature “sfrangiate” che definiscono la facciata del nuovo lungo edificio – landmark. Questi “tagli”, sono generati dallo studio dei prospetti di Viale Adriatico che si “specchiano” sulla facciata di questo nuovo segno urbano come a voler rimarcare la loro identità di tessuto consolidato e la loro importanza all’interno del “luogo” waterfront. Tagli ma non con il fine di separare ma con l’ambizione di creare la stessa permeabilità di tutto il waterfront anche sul singolo edificio.
6_Un waterfront non è un luogo dello svago, non si limita ad essere una “macchina di intrattenimento”, ma è luogo di produzione, di commercio: macchina funzionale delicata. Uno spazio pubblico lungo tutta la città, che accoglie innumerevoli funzioni, tra cui quelle connesse allo svago quali stabilimenti balneari, spazi per il relax e strutture dedicate allo sport deve relazionarsi certamente con tutte le funzioni di cui vive la città senza interferire con esse. Ma quella del waterfront e quella della normale vita cittadina non sono strade parallele, bisogna dunque gestire nel migliore dei modi i punti di contatto tra queste due realtà. L’edificio “stecca” è più che un punto di contatto tra questi due mondi: ne è la sintesi. Urbano il fronte sulla città e produttivo il fronte verso il mare, il tutto in un unico edificio. La prova che possono convivere attività commerciali, artigianali, ricettive e residenziali in un unico spazio. L’unico modo per evitare attriti è far diventare l’edificio una parte di città, inserendolo in un tessuto connettivo nel quale tutti i flussi hanno la medesima dignità e ognuno di essi contribuisce a rendere vivo ciò che altrimenti sarebbe un “luogo” disabitato, marginale. I luoghi di lavoro sono, per ovvi motivi, quasi sempre chiusi al pubblico, recintati e vengono dunque percepiti dalla comunità come dei vuoti, come dei “buchi” nel tessuto urbano, ostacoli, discontinuità, fratture. Se paragonassimo la città ad un disco di vinile, i cantieri del porto di Fano, così come sono configurati oggi, equivarrebbero ad un “salto” della puntina. Proprio nel momento del brano più interessante. L’edificio “stecca” ripristina la continuità della melodia e permette di vivere più da vicino quelle realtà lavorative che per la maggioranza delle persone sono “tabù”. Un setto che divide due mondi differenti ma che aritmicamente viene interrotto in base ai “tagli” che accolgono i sistemi di risalita del nuovo edificio. I tagli sono i punti di collegamento tra le due realtà che iniziano ad essere meno lontane, seguendo il concetto di membrana osmotica precedentemente esposto.Un waterfront non è solo storia e non è solo futuro, ma è sintesi feconda di storia e prospettive: è un “luogo” in cui la sapiente conoscenza storica alimenta le visioni per il futuro, e in cui l’ambizione delle strategie produce un’efficace interpretazione del passato. Le città di mare si sviluppano, nel corso degli anni, in modo differente rispetto ad altri modelli urbani. La presenza di un porto accentra molto l’attenzione sui traffici marittimi e turistici, lasciando talvolta da parte il resto della città, come fosse essa una “prolunga” del porto senza dignità.
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Altro punto fondamentale è la “stagionalità” del waterfront che rischia di diventare un punto debole. Talvolta nelle città turistiche accade che durante i mesi estivi, il waterfront sia affollato di funzioni e turisti che usufruiscono di queste, mentre nelle altre stagioni regna l’abbandono in una sorta di “desertificazione” programmata di una parte di città. La città, come già sottolineato, è costituita di persone prima di tutto e le esigenze di chi vive tutto l’anno quel territorio sono importanti quanto quelle di chi è solo “di passaggio”, come i turisti. Esigenze differenti e molte volte discordanti che devono convivere tutto l’anno e allo stesso tempo permettere il dialogo con il mare prescindendo dal modo in cui l’individuo vive la città. È per questo motivo che tutto il tessuto connettivo è progettato, sviluppato e attrezzato in modo da poter essere fruito da chiunque in qualsiasi momento dell’anno. È stata una scelta progettuale, quella di non fare una “divisione funzionale” netta, se non per la parte “produttiva”, per i motivi già spiegati, che vuole proporre la “mixitè” come base per uno sviluppo non solo architettonico ma anche e soprattutto sociale.